Le stesse piattaforme digitali che in alcune parti del mondo sono state capaci di innescare cambiamenti epocali, in altre sembrano assorbire ogni spinta trasformativa. Come è possibile che la medesima tecnologia produca effetti così diametralmente opposti?
L’impatto dei social media non è una caratteristica intrinseca dello strumento, ma dipende dal contesto informativo e sociale in cui opera. Analizzando i fenomeni globali degli ultimi anni, emerge una chiara dualità: i social possono agire da catalizzatori o da potenti anestetici collettivi.
Il modello catalizzatore: quando i Social colmano un vuoto
Nei contesti in cui l’accesso all’informazione è limitato o controllato, i social media diventano un’infrastruttura comunicativa vitale. Questo modello, osservabile in diversi paesi asiatici, si basa su tre fattori chiave:
- Vuoto Informativo: Dove i media tradizionali sono sotto il controllo statale, piattaforme come TikTok, Facebook e Twitter/X diventano l’unico canale per accedere a una narrazione alternativa. Permettono di documentare eventi in tempo reale, aggirando la censura e creando una verità condivisa e inconfutabile.
- Meccanismo di “Rivelazione”: In contesti di scarsa fiducia nelle fonti ufficiali, i social rompono quella che viene definita la “spirale del silenzio”. Gli utenti scoprono che il loro malcontento non è isolato ma condiviso da migliaia di altre persone, un fattore che convince gli indecisi a unirsi e trasforma il dissenso individuale in mobilitazione di massa. La Milk Tea Alliance è un esempio di come un meme ironico possa trasformarsi in una coalizione digitale transnazionale contro la propaganda.
- Rischio Reale e Coesione: Quando l’attivismo digitale comporta un rischio fisico (come l’arresto o peggio), si crea una selezione naturale. Chi partecipa è fortemente motivato e l’impegno online diventa il preludio a un’azione fisica coordinata, non un suo sostituto. In contesti come il Myanmar, i social diventano una vera e propria infrastruttura di sopravvivenza e resistenza.
Il modello anestetico: quando i Social saturano l’attenzione
Nei contesti occidentali, caratterizzati da una grande libertà informativa, i social media producono un effetto paradossale di paralisi. Anche qui, i fattori tecnologici e sociologici sono determinanti:
- Sovraccarico Informativo: L’esposizione costante a un flusso ininterrotto di crisi (politiche, climatiche, economiche) genera un fenomeno noto come “apocalypse fatigue” (stanchezza da apocalisse). L’utente, schiacciato dalla vastità dei problemi, cade nel “doomscrolling”: un consumo compulsivo di notizie negative che porta a un senso di impotenza e ansia passiva, anziché all’azione.
- Algoritmi e Polarizzazione Affettiva: Gli algoritmi che governano le piattaforme sono progettati per massimizzare il tempo di permanenza, premiando i contenuti che generano reazioni emotive forti e tribali. Questo porta alla creazione di echo chamber e a una “polarizzazione affettiva”, dove le energie degli utenti vengono consumate in conflitti identitari contro altri gruppi di utenti, frammentando la possibilità di creare coalizioni ampie e unite su obiettivi comuni.
- Rischio Zero e Slacktivism: L’assenza di un rischio reale abbassa drasticamente il costo della partecipazione online. L’atto di mettere un like o condividere un post offre una gratificazione morale immediata (“ho fatto la mia parte”) e sostituisce psicologicamente l’azione concreta. Questo fenomeno, definito slacktivism (attivismo pigro), diluisce l’energia della protesta in atti simbolici a impatto nullo.
Oltre l’accesso: il nuovo divario digitale
La contrapposizione tra questi due modelli ci porta a riconsiderare il concetto di “divario digitale”. Oggi, la vera differenza non è più solo tra chi ha accesso a Internet e chi non lo ha, ma in cosa la tecnologia fa a chi la usa.
Da un lato, vediamo società dove la scarsità informativa rende i social uno strumento per coordinare l’azione collettiva. Dall’altro, contesti dove il sovraccarico informativo e il design algoritmico trasformano le piattaforme in sistemi che assorbono e monetizzano l’indignazione, fungendo da valvole di sfogo che, in ultima analisi, aiutano a mantenere la stabilità.
L’efficacia dei social media come strumento di cambiamento è dunque tutt’altro che scontata. Il loro impatto dipende dall’ecosistema informativo in cui si inseriscono e dalle dinamiche sociali che ne derivano. Comprendere questa dualità è il primo passo per un utilizzo più consapevole e, forse, per progettare piattaforme future capaci di promuovere un coinvolgimento più costruttivo.
Il contributo è stato curato da Lorenzo G.








